Quando ho letto la notizia della condanna a 37 mesi di carcere per un ex analista della CIA, tratto in giudizio per aver trasmesso a un giornalista informazioni classificate riguardanti piani militari israeliani, la prima reazione è stata una stretta allo stomaco. Non solo per il contenuto della vicenda, ma per la pena: appena tre anni e un mese. Poco più di mille giorni per aver violato un dovere che dovrebbe essere sacro, soprattutto per chi lavora in ambito intelligence o in posizioni sensibili per la sicurezza nazionale. In un mondo dove i dati sono potere e il potere può significare vita o morte, mi sembra francamente troppo poco. L’uomo, secondo le fonti giudiziarie statunitensi, ha passato a un giornalista dettagli altamente classificati, legati a potenziali operazioni militari. Informazioni coperte dal livello “Top Secret”, quello che negli Stati Uniti indica dati la cui diffusione non autorizzata può provocare “grave danno alla sicurezza nazionale”. Il massimo livello. Eppure,...
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