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I governi devono poter vedere il codice

Ho letto con grande interesse la notizia secondo cui la Danimarca sta valutando seriamente l’idea di sostituire il software Microsoft nei suoi uffici pubblici con soluzioni open source come Linux e LibreOffice. E trovo che sia una decisione non solo coraggiosa, ma anche profondamente sensata dal punto di vista della sicurezza informatica.

Quando si parla di software governativo, si parla di infrastrutture critiche, di gestione dei dati dei cittadini, di processi decisionali delicatissimi. Eppure, per anni, molti governi hanno affidato tutto questo a software chiuso, spesso straniero, senza sapere davvero cosa ci sia sotto il cofano. Il codice sorgente, in questi casi, è una scatola nera. Nessuno può ispezionarlo, verificarne la qualità, controllare la presenza di vulnerabilità o — peggio — di comportamenti nascosti.

L’open source non è la soluzione magica a tutti i problemi, ma almeno offre un principio fondamentale: la trasparenza. Se posso leggere il codice, posso capire cosa fa il sistema. Posso auditare, posso correggere, posso rafforzare. E posso anche decidere di auto‑ospitare i servizi, mantenendo la sovranità sui dati, senza dover dipendere da cloud o server collocati all’estero.

In Germania, nello Schleswig‑Holstein, stanno già migrando migliaia di postazioni pubbliche a un intero ecosistema open: non solo LibreOffice, ma anche Nextcloud, Thunderbird, Univention e altro ancora. È una scelta politica, ma soprattutto strategica: evitare il vendor lock‑in, contenere i costi e aumentare la sicurezza. Perché fidarsi ciecamente di soluzioni chiuse significa anche esporsi a rischi che non si possono nemmeno misurare, perché non li puoi vedere.

In ambienti sensibili, il software deve essere verificabile. Non si può pretendere fiducia cieca da chi ha responsabilità pubbliche. Ed è proprio questo il punto: la sicurezza informatica non si compra in licenza, si costruisce — anche con scelte radicali come questa. Serve, ovviamente, un impegno serio sul fronte del supporto, della formazione e della manutenzione. L’open source non è gratis in senso assoluto, e pensare di usarlo senza investire è un errore. Ma nel lungo periodo, è un investimento che paga, anche in termini di resilienza e indipendenza.

Io credo che la strada sia questa. Se un governo non può vedere il codice che usa, allora quel codice non dovrebbe essere usato affatto.

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