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Giappone senza birra, un cyberattacco congela i rubinetti dell’Asahi

Immagina l’Italia senza vino per una settimana o la Germania senza birra: un black-out digitale, un semplice attacco informatico, potrebbe rendere improvvisamente irreale quella situazione. Ebbene, in Giappone sta accadendo qualcosa di simile: l’azienda Asahi, uno dei maggiori produttori di birra e bevande del Paese, è stata colpita da un cyberattacco che ha paralizzato i suoi sistemi, sospendendo ordini, spedizioni e servizi clienti su scala nazionale.

L’attacco, iniziato il 29 settembre secondo fonti aziendali, è stato identificato come ransomware: per evitare che il danno peggiorasse, Asahi ha isolato i server colpiti, avviando un’indagine interna e collaborando con esperti esterni. I sistemi di ordinazione automatica e di logistica sono al momento fuori uso, tanto che l’azienda ha iniziato a elaborare manualmente alcune consegne, ma sta dando priorità a cibi e bevande analcoliche: per la birra, al momento, molte richieste sono fermate. 

Il risultato? Nelle ultime ore, ristoranti, bar e negozi convenzionati stanno segnalando scorte in rapido esaurimento, avvertendo che la birra Asahi potrebbe “finire del tutto” se il disservizio dovesse protrarsi. Alcuni locali già hanno dovuto sostituirla con marchi concorrenti. Le filiali estere e i mercati internazionali non risultano (al momento) affetti dal blackout: il contagio pare limitato alle operazioni domestiche giapponesi.

La comunicazione ufficiale di Asahi non nasconde l’imbarazzo: nell’ultimo aggiornamento l’azienda ha ribadito che “abbiamo preso misure immediate per contenere l’incidente”, che “non possiamo fornire al momento una tempistica chiara per il recupero”, ma che garantiscono che la salvaguardia dei dati sensibili è prioritaria. Le email esterne sono state disabilitate per sicurezza, e il call center riaprirà parzialmente la settimana del 6 ottobre, se le condizioni lo permetteranno.

Tecnicamente, la faccenda è ironica: il Giappone, noto per la sua efficienza tecnologica, si trova per una falla digitale a rischiare il “dry out” della sua birra più celebre. Ma è anche un monito: un incidente informatico, anche non diretto contro l’impianto fisico di produzione, può vanificare l’intera catena logistica, paralizzare l’immissione sul mercato e generare conseguenze reali per il consumo quotidiano.

In termini di cybersecurity, l’episodio mostra che la difesa contro gli attacchi non riguarda solo i dati e i server: riguarda la continuità industriale, la supply chain, la resilienza operativa. Aziende che credono di poter isolare i sistemi “non critici” in un angolo ignorato finiscono spesso per scoprire che tutto è interconnesso: l’IT influenza la produzione, la logistica, il customer service, la reputazione.

Se il peggiore degli scenari dovesse realizzarsi — ovvero lo stop totale della fornitura per giorni — il danno di immagine e commerciale per Asahi sarà enorme. Per i cittadini, sarà un episodio da raccontare: il giorno in cui il Giappone è rimasto senza birra perché un hacker ha bussato al server sbagliato.

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