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Ransomware 3.0, l’Intelligenza Artificiale scrive da sola i cyber-attacchi


Immagina un ransomware capace di scriversi da solo, migliorarsi con il tempo e orchestrare un attacco complesso senza che dietro ci sia sempre la mano diretta di un programmatore. Non è fantascienza: è quello che alcuni ricercatori hanno descritto nel loro studio pubblicato il 28 agosto 2025 su arXiv, con un titolo che fa tremare i polsi: “Ransomware 3.0: Self-Composing and LLM-Orchestrated”.

Per capire la portata della scoperta, partiamo dall’inizio. Il ransomware è un tipo di malware che cifra i file di un computer e chiede un riscatto (ransom) per liberarli. Negli ultimi anni abbiamo visto due grandi evoluzioni. La prima, chiamata Ransomware 1.0, era fatta di attacchi semplici, spesso diffusi in massa con email malevole. La seconda generazione, Ransomware 2.0, è diventata più mirata: i criminali studiavano le vittime, entravano nelle reti aziendali e lanciavano attacchi personalizzati. Oggi entriamo nella fase successiva: Ransomware 3.0, in cui l’Intelligenza Artificiale Generativa diventa parte integrante della macchina del crimine.

Cosa significa concretamente? Secondo i ricercatori, i nuovi ransomware possono sfruttare modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM, come quelli che usiamo per chatbot e generatori di testo) per automatizzare attività che prima richiedevano tempo, studio e competenze umane. In pratica, l’IA può scrivere il codice malevolo, adattarlo al sistema operativo della vittima, comporre email di phishing credibili, coordinare le fasi dell’attacco e persino “parlare” con l’utente per estorcere denaro in modo più convincente.

Dal punto di vista tecnico, il ransomware 3.0 si basa su due pilastri: self-composing e orchestrazione tramite LLM.

- Self-composing: il malware non è un unico programma rigido, ma un insieme di moduli che l’IA può generare e modificare al volo. Significa che può creare nuove varianti per aggirare antivirus e difese tradizionali.

- LLM-orchestrated: l’IA funziona come un direttore d’orchestra che coordina i vari strumenti dell’attacco. Può analizzare il contesto, decidere quale strategia usare e perfino personalizzare il linguaggio con cui minaccia la vittima, rendendo la pressione psicologica più efficace.

Per esempio, immaginiamo un’azienda che riceve un’email di phishing scritta da un LLM: il messaggio non contiene errori, usa lo stile comunicativo dell’azienda stessa (magari appreso dai suoi documenti pubblici) e inserisce dettagli personalizzati. Una volta che l’utente clicca, il malware entra in azione, ma non come un blocco di codice statico: genera sul momento i pezzi che servono, sceglie tecniche di evasione aggiornate e cifra i dati. Alla fine, l’LLM si occupa anche della negoziazione del riscatto, rispondendo alle email o ai messaggi della vittima in modo convincente, quasi “umano”.

Il rischio più grande è che questi ransomware diventino estremamente adattivi. Non servirà più scaricare da forum criminali un kit preconfezionato: basterà avere accesso a un modello linguistico abbastanza potente per creare al volo nuove armi digitali. Questo riduce la barriera d’ingresso per i criminali e moltiplica le possibilità di attacco.

La domanda inevitabile è: come possiamo difenderci? I ricercatori sottolineano che le difese tradizionali non bastano più. Servono sistemi di sicurezza che usino a loro volta l’Intelligenza Artificiale per riconoscere schemi sospetti, rilevare comportamenti anomali e reagire in tempo reale. In altre parole, sarà una corsa agli armamenti tra IA buone e IA cattive. Allo stesso tempo, servono regole più stringenti sull’uso dei modelli generativi, per ridurre il rischio che vengano sfruttati da chi ha intenzioni criminali.

Ransomware 3.0 non è ancora diffuso in modo massiccio, ma i prototipi descritti nello studio ci mostrano una traiettoria chiara: il crimine informatico del futuro sarà più automatizzato, più intelligente e più difficile da fermare. Parlare di questo adesso significa prepararsi, capire i rischi e immaginare le contromisure prima che sia troppo tardi.

Forse l’aspetto più inquietante è che questi sistemi non solo colpiscono i nostri dati, ma sanno anche colpire le nostre emozioni, con messaggi su misura che aumentano la pressione psicologica. È un salto qualitativo che trasforma il ransomware da semplice minaccia tecnica a macchina sociale di manipolazione e ricatto.

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