Nelle scorse ore il profilo X del Ministro della Difesa Guido Crosetto è stato violato e utilizzato per diffondere messaggi falsi che invitavano a donazioni in criptovalute, sfruttando temi ad alto impatto emotivo come i funerali di Giorgio Armani e la crisi di Gaza. I post, immediatamente smentiti dal ministero, non provenivano dal ministro né dai suoi collaboratori. Resta il fatto che un account personale di una figura politica di primo piano sia stato compromesso, esponendo tutti noi a una riflessione urgente sulla sicurezza digitale delle persone pubbliche.
La dinamica dell’attacco, per quanto ancora in fase di indagine, mostra elementi ricorrenti: la possibilità che una password sia stata trafugata, che l’autenticazione a due fattori non fosse attiva o che siano state utilizzate tecniche di phishing capaci di ingannare anche utenti esperti. È emersa inoltre la preoccupante ipotesi che gli aggressori fossero in grado di “co-gestire” l’account, come ha scritto lo stesso Crosetto in un messaggio poi rimosso, segno che il controllo da parte dei criminali potrebbe non essere stato totale ma comunque sufficiente a pubblicare contenuti ingannevoli.
Il movente è evidente: le campagne fraudolente che puntano a raccogliere criptovalute fanno leva su emozioni forti, notizie di attualità e nomi di personaggi noti per risultare credibili. In questo caso l’obiettivo era duplice: tentare una truffa economica e minare la fiducia pubblica nella figura istituzionale colpita. È proprio la combinazione tra attacco finanziario e attacco reputazionale a rendere questo episodio particolarmente rilevante.
Per un politico, un manager o un personaggio pubblico, un profilo social non è un semplice strumento di comunicazione, ma un asset strategico, potenzialmente in grado di influenzare opinioni e mercati. La sua compromissione non è un incidente “minore”, è una questione di sicurezza nazionale.
Questo attacco ci ricorda che la resilienza digitale non è un concetto astratto, ma una responsabilità concreta e quotidiana. Nessuno è immune, nemmeno chi ricopre ruoli di vertice in istituzioni delicate come la Difesa. Ed è proprio dalla consapevolezza di questa fragilità che dovremmo ripartire: rafforzando non solo le tecnologie di protezione, ma anche la cultura della sicurezza nelle persone che quelle tecnologie le usano ogni giorno.
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