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App di monitoraggio online, funzionano davvero su iOS e Android e cosa bisogna sapere

Chiunque navighi un po’ nel web avrà notato la pubblicità di software che promettono di “controllare a distanza” uno smartphone. Prodotti come mSpy, FlexiSPY, Hoverwatch o altre soluzioni simili sono tra i più noti, venduti ufficialmente come strumenti di controllo parentale o di gestione aziendale dei telefoni dati ai dipendenti. In realtà, la loro fama è spesso legata a un utilizzo molto più controverso: il monitoraggio non autorizzato di partner, amici o colleghi, pratica che in molti Paesi è considerata illegale.

Dal punto di vista tecnico, queste applicazioni offrono un ampio ventaglio di funzionalità: lettura di messaggi SMS e chat (anche su app come WhatsApp o Telegram), localizzazione GPS, monitoraggio delle chiamate, controllo della cronologia internet e, nei casi più invasivi, registrazioni ambientali o intercettazioni delle conversazioni. La differenza principale sta nel sistema operativo su cui vengono installate.

Su Android, il margine di manovra è molto più ampio: grazie a un ecosistema meno “blindato”, queste app possono ottenere permessi avanzati, arrivando spesso a un monitoraggio quasi completo. Alcune versioni riescono perfino a funzionare in modalità stealth, ovvero senza lasciare tracce visibili all’utente del telefono. Questo rende Android il terreno preferito per chi sviluppa software di questo tipo.

Su iOS, invece, la situazione è diversa. L’ecosistema Apple è molto più chiuso e restrittivo. Le app di monitoraggio possono offrire soltanto funzioni limitate, come l’analisi dei backup iCloud, la localizzazione o il tracciamento di attività sincronizzate. Per avere accesso a funzioni avanzate sarebbe necessario il jailbreak, un’operazione che però riduce la sicurezza del dispositivo e lo espone a vulnerabilità. Non a caso, molti produttori di questi software sconsigliano esplicitamente questa pratica, pur ammettendo che senza di essa le potenzialità su iOS restano ridotte.

Dal punto di vista degli aggiornamenti, le piattaforme più conosciute rilasciano update costanti, cercando di restare compatibili con le nuove versioni di Android e iOS. Tuttavia, la corsa è sempre a ostacoli: ogni aggiornamento di sistema operativo introduce nuove barriere di sicurezza che costringono gli sviluppatori a rincorrere. In questo contesto, le versioni Android restano generalmente più complete e stabili, mentre su iOS l’esperienza è limitata e meno affidabile.

Accanto alla parte tecnica, c’è un aspetto fondamentale: la legge. In quasi tutti i Paesi europei, incluso l’Italia, installare questi software senza il consenso del proprietario del telefono è un reato grave, assimilabile alle intercettazioni illecite. Le uniche eccezioni legittime sono:

- il controllo parentale, quando i genitori monitorano i dispositivi dei figli minorenni;
- la gestione aziendale, quando i dipendenti vengono informati chiaramente che i telefoni di lavoro sono monitorati per motivi di sicurezza o produttività.

Chi utilizza questi strumenti in altri contesti rischia conseguenze legali importanti: multe salate, processi penali e, nei casi più gravi, persino la reclusione.

In definitiva, i software di monitoraggio online sono un esempio perfetto di come la tecnologia possa avere un duplice volto: da un lato strumenti utili per la sicurezza familiare o aziendale, dall’altro possibili armi di violazione della privacy. Funzionano meglio su Android, hanno margini ridotti su iOS e richiedono aggiornamenti costanti per restare operativi. Ma il vero punto non è “quanto bene funzionano”: è come e perché vengono usati. Ed è proprio qui che si gioca la partita più importante, tra esigenze di sicurezza e rispetto della privacy.

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