Chi ha mai condiviso una conversazione su ChatGPT con il link “share” pensando che sarebbe rimasta effimera, ha sbagliato. E non di poco. A inizio 2024, migliaia di utenti hanno reso pubblici dialoghi con ChatGPT tramite l’apposita funzione di condivisione. Quel link generava una pagina raggiungibile da chiunque, indicizzata da Google. Il problema? Nessuno sembrava preoccuparsene davvero. Fino a oggi.
Un’indagine pubblicata su Digital Digging ha mostrato che OpenAI ha recentemente chiesto a Google la rimozione di circa 50.000 di queste pagine dai risultati di ricerca. Ma anche se Google le ha tolte, non sono sparite affatto. Il Web ha memoria lunga, e l’Internet Archive ancora più della media: oltre 110.000 chat condivise risultano archiviate lì, consultabili liberamente da chiunque abbia voglia (o malizia) di frugarci dentro.
Parliamo di contenuti di ogni tipo: confessioni personali, tentativi di frode accademica, richieste legali eticamente discutibili, strategie aziendali borderline, critiche a regimi autoritari scritte da utenti nei paesi arabi. In certi casi, sono chat che potrebbero mettere a rischio la vita di chi le ha scritte. E tutto questo è ancora accessibile, perché nessuno ha ancora chiesto all’Internet Archive di rimuoverle.
La questione solleva un problema gigantesco: l’illusione della temporaneità online. Chi condivide un link pubblico dovrebbe sapere che quel contenuto diventa potenzialmente eterno. Una volta catturato da crawler, bot o servizi di archiviazione, non c’è più “elimina” che tenga. E non si tratta solo di dimenticanze individuali: è una falla culturale, tecnica e in parte anche istituzionale.
Quello che resta è un archivio invisibile ma reale, dove tutto è lì, fermo, accessibile. Chi lo sfoglierà, e per farci cosa, è un dettaglio ancora da scrivere.
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