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Le ombre di Teheran nei server USA. Hacker iraniani minacciano ex collaboratori di Trump, caccia all’email perduta

Ho appena letto un report di Reuters – e sì, la notizia è confermata e tombale – che vale un approfondimento. Un collettivo di hacker presumibilmente legato all’Iran, che si fa chiamare “Robert”, ha detto di essere in possesso e pronto a vendere circa 100 GB di email trafugate da ex collaboratori di Donald Trump: Susie Wiles (capo di gabinetto), Lindsey Halligan (avvocata), Roger Stone (consigliere politico) e perfino Stormy Daniels. Il gruppo aveva già fatto trapelare materiale simile a fine 2024, senza però influenzare davvero gli esiti elettorali.

Negli scambi con Reuters, “Robert” ha lanciato l’ennesima minaccia: “abbiamo intenzione di organizzare la vendita di queste email e vogliamo che sia Reuters a trasmettere la notizia”, hanno detto . Un tentativo palese di cyber‑propaganda orchestrata a freddo.

Le autorità statunitensi – FBI e DOJ – e l’agenzia CISA definiscono il tutto un’“operazione diffamatoria mirata”, un tentativo fatto con cura per destabilizzare, dividere e minare la credibilità dell’establishment trumpiano . L’accusa principale è che dietro ci siano i Guardiani della Rivoluzione iraniani, che avevano già instradato un’incriminazione nel settembre 2024.

Da un punto di vista cyber, è il classico schema di guerra asimmetrica: colpi mirati, ma sotto soglia di escalation militare. L’analista Frederick Kagan sottolinea: “Le spie di Teheran stanno cercando di rispondere in modo che non provochi controreazioni militari – spargere email rubate, in fondo, è un’azione che non rischia di provocare un’escalation”.

Cosa mi colpisce in tutto questo? Persistenza e tempismo: il collettivo era “in pensione” a maggio – e ora riemerge a fine giugno, dopo la recrudescenza del conflitto israelo‑iraniano. Leaks e manipolazione pubblica: non è solo hacking, è disinformazione: i contenuti non sono stati autenticati del tutto, ma tutto serve a influenzare l’opinione – e creare caos. Minaccia non locale, ma globale: con l’allerta della CISA sulla possibile offensiva contro infrastrutture strategiche e aziende USA.

Gli hacker iraniani stanno sfruttando la cyber-guerra come terreno di scontro politico. Sottraggono email personali, le usano come leva mediatica – e minacciano di metterle all’asta. Non è fantapolitica: è una forma moderna e subdola di attacco ibrido. Se ti occupi di cybersecurity, devi considerare che non si tratta solo della protezione dei server, ma della salvaguardia dei narrativi pubblici. Distillare, filtrare e veicolare contenuti compromettenti fa parte dell’arsenale digitale di alcuni Stati – e noi professionisti dobbiamo rispondere con awareness, threat intelligence e difese organizzative solide.

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