L’Iran ha annunciato al mondo di essere entrato in possesso di documenti nucleari israeliani: roba grossa, dicono, con tanto di piani militari, dettagli su centrali atomiche e persino informazioni personali su alti funzionari. Una bomba, ma solo sul piano mediatico. Perché di prove concrete? Zero.
La notizia è rimbalzata ovunque, ma con una nota curiosa: nessun file pubblicato, nessun leak tecnico, nessun hash, nessun log, nessun riferimento a vulnerabilità sfruttate. Solo un annuncio a reti unificate e un breve video con schermate vaghe. Per essere un’operazione cibernetica di tale portata, è come dire “ho violato la CIA” mostrando una mail Outlook stampata male.
Israele, da parte sua, ha fatto spallucce. Nessuna conferma, nessun allarme rosso, nessun comportamento che faccia pensare a una reale compromissione. E anche gli analisti più cauti parlano di “operazione psicologica”: uno show per scaldare gli animi in patria e testare la reazione internazionale. Un po’ come quei malware proof-of-concept che non fanno danni ma ti fanno girare la testa per giorni.
Dal punto di vista cyber, insomma, resta il dubbio: c’è stato davvero un attacco?
Un’esfiltrazione silenziosa, sofisticata e impossibile da attribuire?
O solo fumo negli occhi e social engineering su scala geopolitica?
Come sempre, quando la guerra si gioca anche sul fronte digitale, la verità non è solo questione di codice. È percezione, narrazione, strategia. Ma se domani qualche gigabyte di file .docx dal nome sospetto dovesse sbucare su un forum russo, saremo tutti lì a dire: te l’avevo detto.
Commenti
Posta un commento