Li ho visti anche quest’anno, quei ragazzi seduti davanti a un terminale, occhi fissi sullo schermo, cuffie calate sulle orecchie, dita che volano sulla tastiera mentre il tempo scorre impietoso. Li ho guardati mentre combattevano, senza alzare la voce, senza confondere mai concentrazione e frenesia. E non posso fare a meno di pensare a quanto siano bravi, a quanto talento ci sia dietro a quella calma apparente. CyberChallenge.IT, per chi non lo sapesse, è una di quelle cose che ti fanno venire voglia di credere nel futuro. Un’iniziativa nata per trovare i giovani più promettenti nella sicurezza informatica in Italia, quelli tra i 16 e i 24 anni che invece di passare i pomeriggi a scrollare feed infiniti, scelgono di imparare a difendere sistemi, a ragionare come attaccanti per diventare difensori migliori, a studiare crittografia, reverse engineering, reti, exploit, malware. Roba che normalmente impari dopo anni in azienda o in ambienti militari, e invece loro la masticano prima dei vent’anni.
Ogni anno si parte con migliaia di iscritti, si passa attraverso test tosti e poi una formazione intensiva di settimane, e alla fine arriva lei: la finale nazionale, quella in cui ci si sfida in una gara “attack & defense”, dove ogni squadra deve difendere i propri servizi e, contemporaneamente, bucare quelli degli avversari. E quest’anno, come l’anno scorso e quello prima ancora, a vincere è stata di nuovo la Sapienza di Roma. Tre volte di fila. Cioè: costanza, preparazione, testa. Hanno vinto con merito, e dietro c’è una scuola solida, un team affiatato, una tradizione che non si improvvisa. Ma sul podio sono saliti anche i ragazzi di Bari e quelli di Bologna, e basta guardare i loro volti per capire che non sono solo delle “menti”, sono persone appassionate, con la voglia di costruirsi un futuro pulito in un mondo – quello digitale – sempre più sporco.
Non so chi fossero tutti i componenti delle prime dieci squadre, ma so che meritano tutti un applauso. Che tu venga da Torino o da Pisa, da Trento o da Catanzaro, non importa: se sei arrivato in finale vuol dire che hai talento. E se ti sei seduto a quella scrivania con il cuore che batteva, l’adrenalina in circolo, e hai scelto di metterti in gioco per il tuo team e non solo per te stesso, hai già vinto qualcosa che nessun punteggio può misurare.
A chi pensa che i giovani oggi non abbiano voglia di fare, consiglio di venire a vedere un CyberChallenge. Cambia tutto. Capisci che dietro i nickname e i terminali c’è un’Italia viva, curiosa, onesta, piena di potenziale. Un’Italia che merita fiducia. E se lavorate in un’azienda, se siete docenti, se fate parte di un’istituzione: fate qualcosa per supportarli. Non aspettate che vadano via all’estero. Offrite loro spazio, ascolto, occasioni. Perché la verità è che questi ragazzi non vogliono fuggire, vogliono solo essere presi sul serio.
E alla fine resta negli occhi quella sala piena di luci soffuse, monitor accesi, visi tesi. E nel cuore quella sensazione difficile da descrivere, che mescola orgoglio e speranza. Non li conosco uno per uno, ma vi giuro che li stimo tutti.
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