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Dietro le quinte della guerra digitale. La Cina si prepara, ma non è sola

Mi sono ritrovato a leggere articoli come “How China is secretly preparing for cyberwar” e, mano a mano che scorrevano, più mi cresceva la consapevolezza che siamo davanti a qualcosa di ben diverso dai classici scenari da film: non è fantascienza, e non riguarda solo spie e dati rubati, ma infrastrutture critiche, sabotaggi remoti, disinformazione, eserciti digitali pre‑posizionati. Nell’ultimo anno, esperti del Five Eyes e dell’alleanza occidentale hanno suonato l’allarme: la Cina, attraverso gruppi come Volt Typhoon, avrebbe introdotto malware nelle nostre reti essenziali – energia, acqua, trasporti, telecomunicazioni – in modo silenzioso, ma con finalità potenzialmente devastanti. Il loro scopo non è sempre stato immediatamente distruttivo: piuttosto, hanno piantato le fondamenta, quel che in gergo viene definito “living off the land”, cioè usare le infrastrutture esistenti e muoversi senza rumore, così da preparare il terreno allo scontro qualora si alzassero le tensioni .

La vera novità però è che il regime di Pechino – che in passato si limitava alla cyber‑spionaggio industriale e politico – sta ora consolidando capacità offensive ben più letali: non si tratta solo di copiare brevetti o governo di dati sensibili, ma di impiantare armi digitali potenzialmente attivabili in un istante. In ambienti ufficiali – PLA, Ministero della Sicurezza dello Stato, persino contractor privati – esistono veri e propri reparti militari e civili addestrati e finanziati per la guerra cibernetica . Secondo fonti come il Pentagono e documenti interni cinesi, questi reparti sono concepiti per agire in sinergia, coordinando attacchi elettronici e informatici su larga scala, con l’obiettivo di paralizzare un avversario ancor prima che inizi la guerra sul campo .

Se la Cina rappresenta oggi una minaccia silenziosa ma concreta, la Russia ha già dimostrato di poter rompere demi decenni di record con attacchi mirati e politici, come quelli contro l’Ucraina, portando blackout o disfunzioni amministrative. Dall’altra parte, Israele ha affinato le proprie capacità offensive — pensiamo all’operazione Stuxnet, usata contro l’Iran nel 2010, o alle campagne successive – dimostrando che i conflitti asimmetrici possono spostarsi con successo nel cyberspazio. Gli Stati Uniti, infine, dispongono di una potenza cibernetica senza pari: Cyber Command affiancato dall’NSA e contractor privati sono in grado sia di difendersi che di colpire, spesso asimmetricamente, in risposta o in prevenzione .

Allora, chi è il più forte nella cyber‑war che si profila all’orizzonte? Secondo me – e contando che mi piace avere sempre tutti i pezzi del puzzle prima di giudicare – Israele resta l’avanguardia assoluta in termini di operazioni chirurgiche e know‑how specialistico. Ma su scala globale, per estensione e ampiezza di preparazione proattiva, oggi la Cina gode di una posizione dominante: possiamo quasi dire che ha il più grande “esercito di hacker” al mondo, stimato tra 50 000 e 100 000 persone, tra militari, civili e contractor . La Russia rimane temibile, ma si concentra su attacchi politici e disinformazione, mentre gli USA mantengono l’ecosistema più integrato tra difesa e contraffensiva.

In conclusione, credo che il “più forte” dipenda dall’obiettivo: Israele è specialista per attacchi chirurgici mirati, gli USA sono leader tecnologici e dotati di capacità offensive e difensive complete, la Russia eccelle nella cyber‑guerra politica e destabilizzazione, mentre la Cina è oggi la potenza emergente più completa, che punta alla guerra cibernetica “dalla A alla Z”: spionaggio massivo, pre‑posizionamento, capacità distruttive, disinformazione, collaborazione pubblico‑privato, integrazione 5G, IA, tecnologie avanzate. Un mix decisamente potente e inquietante.

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