Nel mondo delle criptovalute, la sicurezza dovrebbe essere una priorità assoluta. Eppure, anche una delle piattaforme più note e utilizzate come Coinbase non è immune da falle clamorose. Recentemente, è emerso che i dati personali di circa 70.000 utenti sono stati esposti a seguito di un episodio interno gravissimo: un dipendente di un’azienda esterna, TaskUs, con sede in India, è stato sorpreso a fotografare dati sensibili dal proprio schermo di lavoro. Questi dati sarebbero poi stati venduti a cybercriminali, all’interno di un piano più ampio di corruzione che ha coinvolto oltre 200 dipendenti, licenziati in blocco dopo l’incidente.
Non sono state coinvolte password o chiavi private, ma le informazioni trafugate bastano a creare un rischio concreto per le persone coinvolte: nomi, contatti, frammenti di numeri di previdenza sociale e dettagli di account. Coinbase ha stimato un impatto economico potenziale tra i 180 e i 400 milioni di dollari per risarcimenti e azioni correttive. È partita anche una caccia agli autori, con una taglia da 20 milioni di dollari offerta per chi fornisca informazioni utili.
Tutto questo mi ha portato a fare una scelta personale netta: ritirare completamente i miei Bitcoin dalla piattaforma. Sebbene Coinbase abbia reagito con misure apparentemente forti, come la rescissione del contratto con TaskUs e l’introduzione di nuove policy di sicurezza, la fiducia – in questi ambiti – si perde molto più in fretta di quanto si possa ricostruire. Oggi preferisco custodire i miei asset in wallet hardware, lontano da ogni esposizione centralizzata e più sotto il mio controllo.
L’episodio ci ricorda che, al di là delle promesse di sicurezza e compliance, ogni infrastruttura centralizzata comporta un rischio umano. E quando si parla di denaro – specialmente in un contesto come quello crypto, spesso percepito come “antibanche” – affidarsi a terzi può vanificare tutto ciò che questo mondo dovrebbe rappresentare.
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