La notizia arriva da Guangzhou, Cina meridionale, le autorità locali hanno pubblicato foto, nomi e perfino i numeri di documento di oltre 20 presunti hacker legati a Taiwan, accusandoli di una serie di cyberattacchi su infrastrutture sensibili cinesi, dalle forze armate all’energia, fino a istituzioni a Hong Kong e Macao. Dulcis in fundo: c’è pure una taglia sulla loro testa. Ma quanto c’è di vero?
La mia sensazione è chiara, questa storia ha più il sapore di una messinscena che di un’operazione seria di controspionaggio. Non è la prima volta che Pechino alza il tiro in chiave propagandistica, specialmente su Taiwan, e ogni volta le “prove” sono sempre piuttosto nebulose.
Il comunicato diffuso dalla Cina parla di una “unità digitale” taiwanese creata apposta per condurre operazioni cibernetiche contro la Repubblica Popolare, con l’aiuto – udite udite – dell’intelligence statunitense. Insomma, il pacchetto completo: Taiwan come burattino degli USA, impegnata a destabilizzare la Cina.
Il Ministero della Difesa di Taipei ha subito risposto che si tratta di accuse inventate. E da parte mia, francamente, fatico a non credergli. C'è un tempismo sospetto in tutto questo: appena qualche settimana fa, Stati Uniti, Unione Europea e anche la Repubblica Ceca hanno puntato il dito contro le operazioni di hacking provenienti proprio dalla Cina, accusandola di cyberattacchi sistemici a danno di infrastrutture pubbliche e private. Non mi stupisce che, nel tentativo di ribaltare la narrativa, Pechino abbia tirato fuori l’“emergenza hacker taiwanesi”.
È una classica strategia: spostare il focus, costruire un nemico esterno, magari con tanto di volti e nomi, per dare al pubblico una sensazione di “azione” e “giustizia”. E intanto, gli occhi del mondo si distolgono da cosa succede davvero dietro la Grande Muraglia.
Il caso ci ricorda che la cybersicurezza oggi non è più solo una questione tecnica, ma geopolitica. Ogni attacco (o presunto tale) può diventare un’arma di propaganda. Ogni comunicato stampa, un frammento di guerra cognitiva. E la verità? Quella resta spesso avvolta nel fumo della disinformazione. Dobbiamo mantenere uno sguardo critico e indipendente. Non basta analizzare i log: dobbiamo anche leggere tra le righe dei comunicati stampa. Siamo davvero davanti a un’operazione criminale orchestrata da Taiwan, o è solo una trovata propagandistica di Pechino per mettere pressione sull’isola e deviare l’attenzione internazionale?
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