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Analisi sulle mafie che governano la rete

Quando si pensa alle mafie, l’immaginario collettivo rimanda ancora a pizzi, kalashnikov, cocaina e intimidazioni sul territorio. Ma la criminalità organizzata, ovunque nel mondo, non è mai rimasta indietro: oggi, nel 2025, molte di queste organizzazioni sono diventate veri e propri attori nel cyberspazio, con strutture digitali complesse, exploit privati, servizi di hacking a pagamento, e la capacità di infiltrarsi nel cuore stesso delle infrastrutture digitali globali.

Ho cercato di analizzare le principali organizzazioni criminali, valutandole in base alla loro potenza tecnologica, cioè alla loro capacità di agire o difendersi nel cyberspazio, generare profitto con strumenti digitali, sfruttare vulnerabilità, o condurre attacchi informatici. Questa classifica non è assoluta, ma si basa su casi noti, analisi OSINT e report internazionali affidabili. Ed è, ovviamente, una fotografia parziale di un mondo in continua evoluzione.

Al primo posto non possono che esserci i gruppi criminali russi. Organizzazioni come Evil Corp, REvil, Conti e affiliati sono spesso indistinguibili dagli APT (Advanced Persistent Threat) sponsorizzati dallo Stato. Non si limitano a rubare dati o chiedere riscatti: gestiscono exploit zero-day, comprano vulnerabilità sul mercato grigio, e sviluppano ransomware con architetture modulari avanzate. Alcuni di questi gruppi sono notoriamente protetti dalle autorità russe, purché non colpiscano obiettivi interni. Un caso emblematico è l’attacco a Colonial Pipeline nel 2021, che paralizzò parte della distribuzione di carburante negli Stati Uniti. Lì si vide chiaramente come cybercriminalità e geopolitica potessero fondersi. In sintesi: soldi, competenze, protezione, e accesso a tutto ciò che serve per dominare lo scenario cyber.

Al secondo posto troviamo le Triadi cinesi. Meno mediatiche ma non meno pericolose, queste organizzazioni sono storicamente abili a infiltrarsi nel tessuto economico e sociale, e oggi si sono digitalizzate a tutti gli effetti. Operano nel cyberfraud, nel phishing di massa, e nella gestione di vasti network di conti bancari, SIM, e identità digitali. In più, sono spesso coinvolte in attività parallele con gruppi APT cinesi, sfumando ancora una volta la linea tra cybercriminalità economica e sorveglianza di Stato. Alcune reti di truffa su WeChat, Telegram e TikTok rivelano infrastrutture sofisticate e automatizzate. Non si tratta solo di truffe romantiche o e-commerce fasulli, ma vere centrali operative in grado di agire a scala continentale.

Al terzo posto inserisco la Ndrangheta e, più in generale, le mafie italiane. Tradizionalmente radicate nel territorio e nelle economie locali, negli ultimi dieci anni queste organizzazioni hanno mostrato una capacità impressionante di adattamento tecnologico. Non sviluppano exploit in proprio, ma investono fortemente in criptovalute, sfruttano servizi di criptazione e messaggistica anonima, e delegano ad hacker freelance di Paesi terzi alcune attività più complesse. Recenti inchieste italiane (vedi operazione "Cryptosweep") mostrano come vengano utilizzati exchange decentralizzati e mixer per riciclare denaro sporco con una catena di wallet virtualmente irrintracciabile. Se oggi il potere è anche nella capacità di nascondere flussi di denaro digitale, loro si stanno muovendo nella giusta direzione.

Al quarto posto colloco i cartelli messicani. Apparentemente meno “cyber”, ma solo all’apparenza. Alcuni cartelli, in particolare il CJNG (Cartello Jalisco Nuova Generazione), hanno mostrato un enorme interesse per la tecnologia, ma più nella sorveglianza territoriale che negli attacchi informatici puri. Utilizzano droni modificati per trasportare droga o esplosivi, intercettano comunicazioni radio, e hanno costruito reti cellulari locali nei territori controllati. Il lato puramente informatico è spesso gestito da tecnici a contratto, e non hanno una vera divisione cyber interna, ma il potenziale per un salto di qualità è enorme.

Al quinto posto, ma non certo irrilevanti, ci sono i famigerati Yahoo Boys nigeriani. Non sono mafie nel senso classico, ma reti criminali fluide che hanno fatto della truffa digitale un impero. Business Email Compromise, social engineering, schemi Ponzi, e phishing bancario sono il loro pane quotidiano. Tecnicamente parlando, non usano malware avanzati né exploit custom, ma la loro forza è la creatività, l’automazione, e la comprensione profonda del comportamento umano. Riescono a manipolare vittime in tutto il mondo e guadagnano milioni senza mai scrivere una riga di codice sofisticato. Alcune indagini mostrano come abbiano anche iniziato a cooperare con reti mafiose più strutturate per il riciclaggio.

Ci sarebbero molti altri gruppi da citare: la yakuza giapponese, le gang balcaniche, le reti del sud-est asiatico. Ma questa classifica, volutamente limitata a cinque posizioni, vuole essere solo una prima fotografia: un’analisi che unisce cronaca, geopolitica e cultura hacker.

Il crimine, come tutto il resto, si è digitalizzato. E le mafie non fanno eccezione. Alcune imparano più in fretta di altre. Ma tutte hanno capito che il potere, oggi, passa anche per un terminale.

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