All’inizio degli anni 2000, prima che l’IPv6 fosse una realtà comune, per connettersi alla nuova rete servivano i tunnel broker: nodi messi in piedi da appassionati o provider che permettevano di avere un indirizzo IPv6 incapsulato dentro IPv4. In Italia c’erano nomi che oggi sembrano quasi leggendari: NGnet, Zibibbo, e poi, su scala più internazionale, SixXS, che per anni ha fornito tunnel di altissima qualità fino a dichiarare “mission accomplished” e chiudere nel 2017. Erano anni in cui IPv6 era roba da smanettoni, e la comunità IRCNet italiana era uno dei posti dove questo “potere” trovava applicazioni creative. Personalmente lo usavo per camuffare il mio IPv4: mentre con un indirizzo 95.x.x.x il server IRC mostrava il reverse DNS dell’ISP, con IPv6 potevo scegliere il mio indirizzo nel blocco assegnato, evitando di esporre il mio IP reale e cambiandolo a piacere. In quel periodo circolavano anche strumenti curiosi, come ipv6fuck.c dell’autore “schizoid”, un codice C che serviva per stress-test su connessioni IPv6. All’epoca la rete era un laboratorio aperto: pochi limiti, molto entusiasmo e tanta sperimentazione.
IPv6 nasce per un motivo molto concreto: gli indirizzi IPv4 sono solo 4,3 miliardi e il mondo si è accorto troppo tardi che li stavamo finendo. IPv6 porta la capacità a livelli astronomici (340 sestilioni di indirizzi), con spazio sufficiente da non porsi più il problema. Inoltre elimina molti vincoli dell’IPv4, consentendo connessioni end-to-end senza NAT. Questo ha però implicazioni di sicurezza: con IPv4, il NAT e la condivisione dell’IP rendevano più difficile identificare singoli host e, indirettamente, riducevano l’esposizione diretta dei servizi. In IPv6, invece, ogni dispositivo può avere un indirizzo pubblico univoco e raggiungibile, e questo significa che eventuali servizi aperti, come SSH o SMB, diventano visibili a chiunque, anche dall’altra parte del mondo. Molti firewall domestici non filtrano IPv6 con la stessa attenzione dedicata all’IPv4, e in contesti aziendali capita di trovare IPv6 attivo ma non monitorato, creando canali di comunicazione che bypassano regole e IDS. Esistono anche scenari di abuso di tunneling, come con Teredo o 6to4, che possono essere sfruttati per far transitare traffico non autorizzato.
Sul fronte della privacy, l’IPv6 introduce un paradosso: la sua abbondanza di indirizzi permette una gestione molto più granulare, ma un prefisso statico o assegnato per lungo tempo può rendere il tracciamento estremamente preciso. Per mitigare questo rischio esistono le Privacy Extensions (RFC 4941), che generano indirizzi temporanei e difficilmente correlabili, ma non tutti i sistemi le attivano di default e non tutti gli utenti ne sono consapevoli. In un’ottica di sicurezza offensiva, negli anni IPv6 è stato usato anche per attività di flood e DoS difficili da bloccare, proprio per la vastità dello spazio di indirizzamento e la difficoltà di enumerarlo in tempi rapidi. È qui che strumenti come ipv6fuck.c si inserivano come esempio di stress-test, ma che oggi, usati in rete pubblica senza consenso, rientrerebbero nelle condotte di abuso informatico perseguibili per legge.
Oggi l’IPv6 lo stiamo già usando, spesso senza saperlo. I grandi provider italiani lo offrono nativamente, molti router lo gestiscono in automatico e i sistemi operativi lo preferiscono quando è disponibile. Non lo “vediamo” perché browser e servizi negoziano trasparentemente: se YouTube, Google o Netflix hanno IPv6, ci colleghiamo così; se non lo hanno, torniamo su IPv4. L’utente medio non si accorge di nulla, ma l’indirizzo IPv6 è lì, in parallelo al vecchio IPv4. I tunnel broker amatoriali come NGnet o Zibibbo non hanno più ragione di esistere: l’IPv6 non è più un privilegio di pochi, ma una componente standard dell’infrastruttura. Sopravvivono solo i broker professionali come Hurricane Electric, utili in zone ancora scoperte o per fare laboratorio. Se vuoi sapere subito se la tua connessione è già in IPv6, puoi scoprirlo in due secondi visitando https://test-ipv6.com/. Magari scoprirai che stai già viaggiando su una rete che un tempo era per pochi iniziati su IRCNet, e che oggi è diventata lo standard invisibile di Internet.
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