Chi segue le minacce informatiche da qualche anno sa bene che il mondo del ransomware non è solo una guerra di cifrature, esfiltrazioni e riscatti in criptovalute: è anche un palcoscenico, spesso ridicolo, in cui bande criminali tentano goffamente di costruirsi un’identità, un brand, una reputazione, come se stessimo parlando di startup di provincia con logo fatto su Canva e presentazione su Notion. La vicenda di Hunters International che si chiude con un “rebrand” altrettanto improvvisato in World_Leaks è, a mio avviso, uno di quegli episodi da incorniciare nella bacheca delle cyber-fuffe più imbarazzanti dell’anno.
Tanto per mettere ordine nel teatrino: Hunters International nasce già con l’odore di patchwork riciclato, ereditando codice (e forse affiliati) dai fu-contadini digitali di Hive—ricorderete, se seguite la scena, che Hive fu smantellata dall’FBI e soci nel 2023 con un’operazione spettacolare, uno dei pochi momenti in cui il cybercrime ha davvero subito un colpo serio. Hunters non ha mai brillato per originalità né per efficienza, anche se ha fatto qualche danno (tipo all’Università di Pisa, che ancora si gratta la testa), ma era chiaro fin dall’inizio che si trattava più di un progetto di riciclo che di un’operazione solida. Il codice Hive, riadattato e rattoppato, portava dietro di sé vecchie vulnerabilità e tecniche ormai note alla maggior parte degli analisti di sicurezza, e le vittime stesse sembravano più frutto del caso che di un’effettiva strategia mirata.
Ora, in pieno luglio 2025, ecco il colpo di scena: il gruppo chiude i battenti e si presenta sotto un nuovo nome, World_Leaks, con tanto di sito tutto nuovo (anzi, vecchio), leak di dati “in esclusiva” e il solito tono da vigilantes digitali che combattono non si sa bene cosa—la corruzione? le multinazionali? l’ipocrisia del mondo? No, molto più banalmente: vogliono solo essere pagati. Ma il rebrand, francamente, sembra più il tentativo di un gruppo scolastico di cambiare nome su Telegram dopo che la prof ha scoperto la chat segreta. Siamo lontani dai fasti di LockBit o di BlackCat, che almeno fingono un’organizzazione aziendale con tanto di PR e dark blog curati nei minimi dettagli.
L’aspetto che più mi fa sorridere—e insieme riflettere—è quanto poco basti oggi per far partire l’ennesimo “gruppo ransomware”: un nome generico, una landing page su Tor, qualche logo rubato da qualche stock grafico, un paio di dump buttati lì (magari nemmeno freschi) e via, pronti a chiedere riscatti come se niente fosse. E ancora più interessante è che, anche se tutto questo è ormai diventato un cliché, qualche azienda ci casca lo stesso. Ma forse il punto non è nemmeno più la professionalità del gruppo criminale, quanto l’inadeguatezza delle difese di chi sta dall’altra parte: aziende che non segmentano, non patchano, non loggano, e si ritrovano alla mercé di dilettanti con script copiati da GitHub.
Insomma, se Hunters voleva cacciare, si è trovato a pescare in acque basse, con l’esca marcia e pure senza licenza. La transizione a World_Leaks, più che un'evoluzione, sembra il classico colpo di teatro di chi sa che sta per essere dimenticato e tenta l’ultimo atto, sperando di restare in scena almeno altri cinque minuti. In un panorama in cui le vere minacce sono silenziose, sofisticate e spesso statali, questi teatranti con il mantello nero e il logo gotico fanno quasi tenerezza.
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